La chiesa è dotata anche di un artistico tesoro, oggetto d’ammirazione e di meraviglia non solo per la preziosità dei pezzi che contiene, ma soprattutto per la squisita fattura di molti dei suoi oggetti, che costituiscono autentiche rarità.
Tra tutti, il più importante è un libretto con le valve esterne in avorio scolpito e foglietti in pergamena con miniature deliziosissime rappresentanti i misteri riferentesi alla Madonna e alla passione del Signore. È un libretto di preghiera della baronessa Giovannella De Quatris,[1] che essendo nobile, non sapeva leggere. Le valve d’avorio però, sono di molto anteriori e sono di un raro esempio di scultura gotica probabilmente di scuola francese[2].
Altra opera importantissima è il cosiddetto Calice di Pietro II d’Aragona, opera del secolo XIV, degna di alta stima non solo per l’arte delicata con cui è forgiato, ma soprattutto per gli smalti che lo adornano, raro esempio di smalti finissimi siciliani.
Ammirabile, il monumentale ostensorio da processione, alto m. 1,50, d’argento dorato: una vera selva di personaggi, colonnine, archi, balaustre, che danno un mirabile effetto. E’ opera del 1567, firmato da un certo Cochula.
A queste opere di alto valore, vi è da aggiungere ancora, una pisside opera del sec. XVII, di delicato disegno, tempestata di rubini ed un turibolo d’argento, della fine del sec. XIV, di perfetta arte gotica.
Appartiene agli arredi sacri, fatti dalla fabbriceria della chiesa, un paliotto d’altare, in seta, ricamato d’oro e cosparso di una sbalorditiva quantità di perline autentiche. È opera datata del 1638. Altri oggetti sono: una collana d’ambra e oggetti vari d’avorio, una bandiera, consunta dal tempo, fragile e intoccabile, con un dipinto in mezzo, raffigurante la Madonna col Bambino, circondato da un ricchissimo ricamo in oro a motivi floreali.
Restano in ultimo una poderosa mazza in argento massiccio alta un metro, opera della fine del 1700 e una colluvie di oggetti di chiesa come calici, pissidi, ostensori, reliquiari, un meraviglioso secchiello, opera del cinquecento.
La bellezza artistica della chiesa, dei suoi dipinti, il valore incalcolabile del suo tesoro, servono a rendere più splendida quella abitazione in cui regna da sovrana e da madre la Vergine benedetta, che il popolo randazzese volle glorificare anche attraverso le manifestazioni più genuine dell’arte.
[1] [Nobildonna, che nel 1506 donò i feudi di Flascio e Brieni alla fabbriceria della chiesa]
[2] Maganuco E., Pittura e miniatura a Randazzo, Catania 1932, 8-11.
Salvatore Calogero Virzì, SDB, Santa Maria di Randazzo (estratto)